La stazione speleo: intervista alla capostazione Sara Quercetti

La stazione speleo: intervista alla capostazione Sara Quercetti

Nell’Anno internazionale delle grotte e del carsismo abbiamo intervistato Sara Quercetti – da febbraio 2021 la nuova Capostazione della Stazione Speleologica – per farci raccontare cosa vuol dire far parte della componente speleo della nostra associazione. Sara è nata nel 1993 ed è entrata in grotta per la prima volta a 11 anni; marchigiana di origine, è diventata soccorritrice nel 2014, prima nelle Marche e poi in Trentino, dove si è trasferita nel 2017 per ragioni di studio, anche se non nasconde che le montagne trentine hanno avuto un certo peso nella sua scelta.

Raccontaci innanzitutto da chi è composta la Stazione Speleologica.
In questo momento la nostra Stazione conta 24 soccorritori operativi. Oltre agli Operatori di Soccorso Speleologico e ai Tecnici di Soccorso Speleologico, possiamo contare sulla preparazione di cinque Istruttori – di cui uno nazionale e due aspiranti nazionali – e di tre soccorritori che a breve sosterranno l’esame per diventare Tecnico Specialista in tecniche di Recupero. Da diversi mesi, inoltre, dopo che un componente della Stazione si è laureato in Infermieristica, abbiamo al nostro interno una risorsa preziosa con una competenza professionale significativa, considerando che negli interventi in grotta spesso è difficile far arrivare l’equipe sanitaria sull’infortunato in tempi brevi. Circa una decina di soccorritori hanno anche una qualifica di soccorso alpino e, di conseguenza, prendono parte alle operazioni di soccorso in montagna con la Stazione territoriale.

Come si diventa soccorritore speleo?
Per entrare a far parte della Stazione Speleologica bisogna superare le selezioni di ingresso che prevedono prove tecnico-attitudinali diverse rispetto a quelle alpine: bisogna dimostrare completa autonomia nella progressione in grotta, nell’armo della grotta e nell’autosoccorso. Una volta superate queste prove si diventa aspirante soccorritore e si affronta un percorso formativo della durata di un anno, dopo il quale si acquisisce la qualifica di Operatore di Soccorso Speleologico (OSS). Dopodiché, entro il terzo anno bisogna superare un esame per diventare Tecnico di Soccorso Speleologico (TSS).

Se nel tempo non si riesce a mantenere la qualifica di Tecnico di Soccorso Speleologico attraverso i mantenimenti periodici si può rimanere all’interno del gruppo, ma con la qualifica di Operatore di Soccorso Speleologico. Chi invece vuole progredire ulteriormente può accedere alla qualifica di Tecnico Specialista in tecniche di Recupero (TSR), dopo aver frequentato un corso della Scuola nazionale Tecnici Soccorso Speleo – dove vengono considerate le tecniche più avanzate per il trasporto dell’infortunato in grotta – e dopo aver superato un esame. Questa è anche una qualifica propedeutica per diventare Istruttore di Soccorso Speleo.

Quali sono le peculiarità di un intervento in grotta?
Gli interventi di soccorso speleologico sono meno numerosi rispetto a quelli alpini ma, in genere, richiedono un numero elevato di soccorritori, decine se non centinaia in certi casi. Peculiarità del soccorritore speleo è l’essere pronto a partire per intervenire anche in territori lontani rispetto a quello dove vive. Per questo è stato sviluppato un sistema di collaborazione tra delegazioni provinciali e regionali e, per facilitare la sinergia in intervento di soccorritori appartenenti a delegazioni diverse che potrebbero non aver mai lavorato insieme, sono state uniformate procedure e attrezzature di soccorso in tutta Italia, grazie ai percorsi formativi della Scuola.

Il numero di soccorritori coinvolti dipende dal tipo di intervento e dalla conformazione della grotta: la profondità dove avviene l’incidente, la presenza di strettoie o tratti allagati, l’estensione dei tratti verticali ecc. Non potendo raggiungere l’infortunato con l’elicottero, l’intervento può prolungarsi per molto tempo, anche per più giorni. È quindi importante che una squadra di soccorritori, possibilmente con un medico, raggiunga nel minor tempo possibile l’infortunato per attrezzare un campo, in genere con una tenda, dove tenerlo al caldo per limitare il rischio di ipotermia, considerata la temperatura e l’umidità dell’ambiente ipogeo. Inoltre, il trasporto verso l’esterno della grotta può richiedere molto tempo ed essere particolarmente complicato, soprattutto se ci sono delle strettoie da disostruire per consentire il passaggio della barella; per questo l’infortunato va mosso solo una volta stabilizzato. Anche questo incide sui tempi di permanenza in grotta.
Infine, la comunicazione, essenziale non solo tra interno ed esterno, ma anche tra le squadre che si trovano nelle diverse parti della grotta e che si occupano di armarla per il passaggio della barella. Una delle prime cose da fare in un’operazione di soccorso è portare sul luogo dell’evento centinaia di metri di doppino telefonico da stendere da ingresso grotta fino al luogo dell’incidente, al quale applichiamo delle cornette.

Sei diventata la nuova Capostazione all’inizio del 2021. Quali sono i tuoi propositi?
Nell’ultimo anno è stato fatto un passo molto importante: la componente speleologica del Soccorso Trentino è diventata una delegazione. Prima facevamo parte della VI delegazione che comprendeva anche il Veneto e l’Alto Adige. Fermo restando che continueremo a collaborare con le delegazioni vicine come facevamo prima, questo cambiamento ha dei vantaggi in termini di gestione semplificata e maggiore rappresentanza. Ora, dobbiamo trovare la nostra strada come delegazione.

A livello di operatività, invece, stiamo vivendo un momento di transizione nel quale si sta puntando a ottimizzare tecniche che richiedano un utilizzo minore di materiale, con l’obiettivo di velocizzare le operazioni di salvataggio e di diminuire il numero di operatori da coinvolgere. Anche questa è una bella sfida.

Un’ultima domanda sull’essere speleologo? Cosa vi spinge ad andare in grotta?
Personalmente ho cominciato per curiosità e poi mi sono trovata in un ambiente dove potevo pensare di essere la prima ad illuminare un pezzo di mondo in cui non era mai stato nessuno. Il passo successivo è stato guardarmi intorno e pensare che se mi fosse successo qualcosa sarebbe stato un brutto guaio. Da lì la decisione di entrare nel Soccorso Alpino e Speleologico.

Tutte le foto sono di Paolo Manca